Maurizio Aprea

Anni settanta

Maurizio Aprea

Anni settanta

Anni Settanta – Comincia il percorso per un ‘Nuovo racconto’ figurativo. Mostre di disegni a china. Forze nuove in Accademia e la mostra collettiva sul mercato dell’arte. Nuovi materiali e tecniche innovative: il plexiglass nella collaborazione con Filippo Avalle. Le Radiopitture, opere di Maurizio Aprea in plexiglass che richiamano “le immagini prodotte in fase di moderno restauro, dove, individuati da diverse tecniche di indagine, affiorano più strati di un’opera”.

Maurizio Aprea - Anni 70 - Disegno a china

Uno dei disegni a china pubblicati nel Catalogo del 1974. “Nelle sue opere predomina in genere un elemento: la mano. Molte le mani che si articolano nervose ed incerte, solitarie e spente, vitali e decise…”. [Dalla presentazione di Paolo Perrone]

DISEGNI A CHINA

Negli anni Settanta collassa in Italia — anche sotto la spinta della crisi sociale — la figurazione tradizionale in pittura e scultura.

Nella capitale high-tech, un gruppo di artisti milanesi, e tra questi Aprea, si dedicano alla crisi e alla riproposta della figura e del racconto figurativo. […].

Il loro lavoro cerca di far fronte alla velocità di sviluppo e mutazione della realtà, a sostenerne la rappresentazione.

<<Confronto con la realtà, funzione dell’opera d’arte>>, su questi confini oscilla l’incontro con Maurizio Aprea.

Maurizio Aprea - Anni 70 - Testo di Paolo Perrone

Presentazione di Maurizio Aprea a cura di Paolo Perrone nel Catalogo della Mostra AIA a Milano nel 1974

Si apre la scena su una condizione storica e sociale dell’artista che è la solitudine […].

Ne esce una vicenda artistica originale, intensa che si accende e risolve ad ogni opera, ad ogni ciclo di lavoro. Da solo – come altri – egli si batte contro il logoramento continuo dell’immagine. Da solo ne ricerca una salvezza tra presente e memoria, linguaggio creativo e poteri assoluti di inibizione che avanzano […].

In Aprea vivendo anche la presenza del nonno Giuseppe, pittore accademico ma di grandi quadri veristi. Da lui, dalle sue tracce, viene la convinzione che l’arte abbia una sua funzione generale e l’artista un destino particolare.”

[Testo in corsivo dalla presentazione di Piero Del Giudice all’ articolo dal titolo Dal Tilacino al sudario laico in Galatea, aprile 2010, contenente l’intervista condotta da Del Giudice a Maurizio Aprea nel 2008].

Si organizzano mostre a Milano, Napoli, Roma, Firenze degli undici pittori che – invitati – hanno offerto e pubblicato un disegno interpretativo delle poesie del libro Colloqui di ombre di Walter De Colò. Sono “maestri autentici” e pittori giovani, tra quest’ultimi – scrive Paolo Perrone – “Maurizio Aprea, il più giovane di tutti. Uscito dalla milanese Accademia di Brera, l’Aprea è un talento puro e spontaneo da seguire; acuto disegnatore nell’ambito di un vibrante traslato esistenziale”.

1975: Presentazione del giovane Maurizio Aprea e di tre dei suoi disegni a china sulle pagine del periodico Cultura e Costume –   fondato da Paolo Perrone – attivo in quegli anni e per molti successivi nella promozione di mostre dibattiti conferenze, ecc.

Quarta di copertina del Catalogo della Mostra Rassegna di maestri e giovani da un libro di poesie, alla Galleria Pinacoteca di Roma nel 1975. Per iniziativa delle Nuove Edizioni Culturali e del periodico Cultura e costume di Milano.

Disegno a china per Colloqui di ombre, pubblicato anche nel Catalogo Rassegna di maestri e giovani da un libro di poesie

Disegno a china1973.

“Alle mani, in Aprea, fanno riscontro i volti […]. Sintomatico un autoritratto, invaso da lugubri emblemi meccanici che modificano la fisionomia e costringono il volto ad una smorfia grottesca ed atroce: com’è grottesca ed atroce la condizione dell’uomo moderno, sottoposto ancora ad un’esistenza di umiliazioni e di peregrinazioni, nonostante tutte le cosiddette conquiste sociali del Ventesimo secolo”. [Dalla presentazione di Paolo Perrone]

Nuove forze all’ Accademia di Brera: la mostra collettiva Gli adepti ai lavori sul mercato dell’arte al Centro San Fedele di Milano nel 1973.

 “…L’Accademia in quegli anni – anni Settanta – l’ho vista agli sgoccioli della sua fase ottocentesca. Poi, dopo un momento di smarrimento, sono subentrate nuove forze che vedevano l’insegnamento artistico come possibilità di collegarsi con la vita, con l’esterno […]. Tra questi nuovi professori ricordo Davide Boriani – insegnava media – e aveva tra l’altro organizzato, nel 1973, una mostra collettiva dove il tema e i lavori vertevano sul funzionamento del mercato dell’arte attraverso una serie di indagini: interviste a galleristi, a artisti, a critici, tutto messo in mostra al Centro San Fedele. Ne è uscita una cosa abbastanza forte e davvero innovativa per quegli anni […]. Ho avuto una parentesi di un paio d’anni al Dams di BolognaUmberto Eco, Squarzinaalla fine ho dato gli ultimi esami all’ Accademia. Sono diplomato in scultura.

Aspetti della mostra Gli adepti ai lavori: galleria abitata da 63 sagome parlanti – a grandezza d’uomo – dei personaggi intervistati (soprattutto artisti e critici più noti del momento), con piste audio, impianto diffusione TV e poi pannelli, testi scritti, ecc.).

Numero 3, anno 1972-1973 della Rassegna San Fedele in cui sono pubblicati immagini e scritti della ricerca sul mercato dell’arte a Milano ‘Gli adepti ai lavori’ e della relativa Mostra del maggio-giugno 1973 presso il Centro culturale San Fedele.

Grande pannello dipinto, elaborazione di un’opera di Escher, realizzato da Maurizio Aprea, Giuseppe Brunetti, Ivan Garzanti, Antonio Miano, Kyoto Mitsvishi, Paolo Rizzi, Paolo Rosa, Paolo Spanò.

Gli adepti ai lavori. Conferenze e dibattiti alla mostra, realizzata da un gruppo della meglio gioventù dell’ Accademia coordinato dal prof. Davide Boriani. Tra i numerosi studenti che si sono divisi i compiti – ognuno collaborando a più aspetti di ricerca, realizzazione e allestimento della mostra – si vogliono nominare, oltre ai già citati, Paolo Sanvico e Salvatore Fiori.

La ricerca ‘sull’ uso di nuovi materiali e tecniche visive nuove o aggiornate’. L’incontro con Filippo Avalle.

“Mi hanno sempre attratto quel tipo di materiali che hanno la possibilità di essere “sommati”. In pittura mi piace l’acquarello, è trasparente e una velatura non nasconde la precedente […].

Acquarello e pittura vinilica su carta 1970. Nei primi anni Settanta, oltre alla narrazione con i disegni a china, oggetto di mostre e pubblicazione, Maurizo Aprea non tralascia la sperimentazione con l’acquarello che “è trasparente e una velatura non nasconde la precedente” e altre tecniche che danno la possibilità di “sommare, smontare, aggiungere, scorticare…”.

Era il 1976, stavo concludendo l’Accademia, un giorno trovo un biglietto appeso “artista Filippo Avalle cerca un collaboratore per realizzare una grande opera in plexiglas”. Il plexiglas, allora, non poteva che attrarmi. Telefono ad Avalle e vado a vedere questo lavoro. Era fuori dal comune per quei tempi: un grande prismoide in plexiglas, una grande scatola che si apriva nel piccolo studio […].  Subito mi colpisce il personaggio e il lavoro. Avalle era completamente preso dall’opera e per portarla a termine avrebbe fatto qualsiasi cosa.

 Mi trovavo di fronte alla forza di un grande progetto, ad una determinazione unica a realizzarlo, e anche a una impressionante capacità manageriale.Maurizio Aprea - Anni 70 - Un’opera molto impegnativa dal punto di vista costruttivo: un grande contenitore, un diaframma in plexiglas, un prisma che si intitola Halma opera labirinto […]. Tutto quello che era costruito all’interno doveva essere visto attraverso il diaframma, la scatola incernierata su un telaio in legno che veniva aperto centinaia di volte al giorno…  C’era un lavoro, c’era un’opera, c’era un artista che aveva una esperienza  più grande  della  mia soprattutto rispetto a certe tecniche con materiali come il plexiglas. È un materiale che ha grandi peculiarità, lo si rende opaco e lucido, opaco e trasparente, si crea subito questa dialettica, il riflettente e il satinato, si possono controllare queste peculiarità opposte, e poi lo “sfondamento”, l’andare al di là della bidimensionalità […]. Mi sono trovato presto coinvolto anche nella parte progettuale dei lavori. Era tutto un susseguirsi di idee, annotazioni, scambi, discussioni, sempre in questo piccolo negozio. Lui pensava ad una bottega in senso forte, dove convogliare più conoscenze  —  un po’ l’ idea della bottega rinascimentale. Dopo Labirinto è stato  Incendio a Beaubourg  […]  Incendio a Beaubourg rompe lo spazio tradizionale del  museo attraverso lo scontro di stili e pratiche artistiche diverse  […].  Abbiamo esposto quest’opera, fuori da qualsiasi controllo, sul sagrato del Duomo di Milano, con grande successo di un pubblico completamente al di fuori da frequentazioni di musei e mostre.  Dopo il Beaubourg viene  La feroce — così gli operai chiamavano la Fiat.  […]   Lavorando su queste opere abbiamo cominciato a vederle come corpi, corpi che si aprono hanno quartieri che funzionano come organi.  Da lì la necessità di affrontare la rappresentazione di un corpo umano […]. Dopo un anno di disegni fatti gomito a gomito  —  io mi occupavo di una parte, lui dell’altra — è cominciata la realizzazione di questo corpo-personaggio con una tecnica tra la pittura e la scultura. Non ho visto il lavoro ultimato, la mia vita era cambiata, avevo cominciato ad insegnare e poi la nostra collaborazione non funzionava. Facevo delle cose ma era come se fossi invisibile, più diventava importante il mio ruolo e più prevaleva l’autore più importante, cioè Avalle.” […]

Primi anni Ottanta – La rappresentazione “per molteplici punti di vista”: Le Radiopitture, Opere di Maurizio Aprea in plexiglass ispirate alle “immagini prodotte in fase di moderno restauro, dove, individuati da diverse tecniche di indagine, affiorano più strati di un’opera…”.

Maurizio Aprea - Braccio in moto 2 - Radiopittura

Maurizio Aprea. Braccio in moto. Radiopittura – 1982. Visione trasmessa E’ la prima delle Radiopitture, opere ‘ispirate’ alla grande Mostra – da giugno 1982 a gennaio 1983 – alla Galleria degli Uffizi intitolata Metodo e scienza: operatività e ricerca nel restauro e in generale alle nuove tecniche di restauro intraprese in quegli anni . Nelle Radiopitture “su superfici retroilluminate di plexiglas opalino o poliestere bimattato sono raccolte tracce di forme precedentemente pigmentate e lasciate decantare, come in un Batik. Il risultato, simile a una visione radiografica di una pittura, richiama le immagini prodotte in fase di moderno restauro, dove, individuati da diverse tecniche di indagine, affiorano più strati di un’opera”.

Per me qualsiasi tecnica deve essere metabolizzata, deve agire insieme al resto, deve rientrare in una elaborazione linguistica. […] [Uso] tutte le tecniche che partono dall’ umor vitreo, primo elemento della percezione […]. Tutto ciò che mi dà la possibilità di vedere la somma degli interventi sulla materia, tutto ciò che mi dà la possibilità di raccontare, come svolgere una matassa, non in percorso a tappe lineari, ma per tagli trasversali, affiancamenti, sovrapposizioni, aggiunte di altri materiali. L’anamorfosi, l’ologramma, l’incisione, la tintura, i bagni di colore… […]. Spento-acceso. 

Maurizio Aprea - Braccio in moto - Radiopittura

Braccio in moto. Radiopittura. 1982Visione riflessa

Nella nostra vita c’è la luce e c’è il buio, il giorno e la notte.  I miei lavori, se visti alla luce del giorno, diventano altre cose, si smaterializzano, diventano trasparenti, non hai più quel rapporto tra i colori, cromatico, hai altro. La luce artificiale, le lampade, hanno un senso molto definito e stretto. […] [nelle Radiopitture, n.d.r.] la lampada è dietro, la lampada illumina uno strato, in trasparenza; la lampada si trova dietro una lastra opalina. E’ come nel diafanoscopio – la lampada che viene usata in medicina per vedere le radiografie. Lavoro su questo tipo di immagine, di idea. Voglio che il quadro non sia visto solo sulla sua superficie, sulla sua parte più apparente, ma contemporaneamente in tutti i suoi strati. Vedere i “pentimenti” sotto – così si chiamano i ripensamenti del pittore – vedere quello che è stato cambiato dare uno spessore, un peso e una materialità, dove tutto sia decifrabile, tutto ricostruibile pur rimanendo sempre una zona di mistero, E’ un po’  come se si stesse aggirando l’ opera in tutte le sue possibilità di illuminazione: radente, davanti, di dietro, sopra.  Costruire una interferenza di luce in cui si vuole dipingere, scrivere.“.

[Testo in corsivo dalla narrazione di Maurizio Aprea nella intervista condotta da Piero del Giudice nel 2008 e pubblicata sul numero di aprile 2010 di Galatea. L’intero testo dell’ intervista è presente su questo Sito in Biografia ]